Loading
Oltre al preservativo
Oltre al preservativo.
di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", febbraio 2012)

C'è un modo di proteggere gli altri dall'infezione, oltre che usare il preservativo, ed è seguire una terapia efficace. Ma come decidere quando iniziare ad assumere i farmaci?

Per combattere l'epidemia di AIDS nel mondo si stanno mettendo in campo diverse strategie contemporaneamente, perché nessuna si è dimostrata assolutamente efficace a sé stante. Una di queste nasce dall'evidenza clinica per cui a una minore presenza di virus nel sangue, corrisponde una capacità di infettare minore. Al punto dal considerare il sesso anale senza preservativo una pratica quasi sicura, se si è in presenza di virus non rilevabile nel sangue (sottolineo "quasi", i preservativi sono sempre da usare, anche se non tutti concordano su questo punto).
In quest'ottica, l'anno scorso l'Organizzazione Mondiale della Sanità, stava preparando delle linee guida per stabilire se e quando iniziare anticipatamente la terapia, con la finalità appunto di abbassare la trasmissione virale, sia come fatto epidemico che all'interno di coppie stabili sierodiscordanti (un partner positivo e uno negativo). Ma quali sono le conoscenze che abbiamo attualmente rispetto a iniziare la terapia per l'HIV anche con CD4 superiori a 350 cellule/ml? Attualmente, esistono evidenze sperimentali che questo inizio anticipato potrebbe essere anche vantaggioso per la salute del paziente, pur rimanendo una decisione da ponderare perché, una volta iniziata la cura, questa sarà da continuare per tutta la vita. Se ne parla quindi per ora soprattutto per il vantaggio accertato che ne deriva: una minore trasmissione del virus ai propri partner sessuali (si stima un diminuzione del 97% se la viremia non è rilevabile), che nel caso di coppie sierodiscordanti ai più appare eticamente non solo accettabile ma addirittura doveroso, in quanto, diminuendo statisticamente i rischi di trasmissione, apporta un beneficio alla coppia, considerata come entità a sé stante. Il secondo vantaggio che si avrebbe ad estendere a tutti i sieropositivi le cure, fin dalla loro identificazione col primo test risultato positivo (al di là dei costi finanziari), potrebbe essere di interesse pubblico, perché si dovrebbe abbassare la velocità dell'epidemia. Resta da accertare se una distribuzione massiccia di farmaci non induca a un ancor minor uso di preservativi e anche di conseguenza ad una accelerazione delle mutazioni farmacoresistenti dei virus in circolazione.
Ma ciò che ha fatto discutere non è l'evidenza clinica, ma un'obiezione che sembra capziosa e sterile, ma che non credo che lo sia: è etico far assumere la terapia, non per un dimostrato beneficio personale o alla coppia, anzi con dei possibili rischi, a tutti i sieropositivi per il bene della comunità? Qualsiasi intervento sanitario, che sia una terapia farmacologica o un'operazione chirurgica, deve essere accettata dal paziente, dopo che esso sia stato informato non solo dei benefici, ma soprattutto di tutti i rischi. Lo dice, dal 1946, il Codice di Norimberga, che è nato durante il famoso Processo, dove vennero alla luce le atrocità mediche naziste. È quello che, perfezionato, noi chiamiamo Consenso Informato. Ovviamente l'accettazione di un trattamento non deve essere estorta né con l'inganno e né con il ricatto, come ad esempio se si venisse messi davanti a due scelte: accettare la terapia e poter essere curato per tutta la vita gratuitamente oppure non accettare la terapia e, quando dovesse servire, se ci si vuole curare, doverlo fare a proprie spese.
Pare che le raccomandazioni dell'OMS fossero per consigliare la terapia soprattutto alle coppie sierodiscordanti stabili e non a chi fa sesso promiscuo. Qualcuno ha forse voluto leggere una visione moralistica in questa decisione? Quale che sia stata la scintilla del dissenso, questione etica o scrupolo morale, anziché degli opuscoli informativi, sono scaturiti dibattiti sulle diversità e sui sacri diritti dei pazienti di poter scegliere in piena autonomia. Gli attivisti che pensano sia più importante debellare l'HIV rispetto a tutelare la salute dei singoli, sono la maggior parte. Anche noi, davanti a una cura, pur obbligatoria, di tutti i sieropositivi ma che faccia sparire dalla faccia della terra qualsiasi traccia del virus, probabilmente diremmo istintivamente di sì.
Io però non vorrei che con l'entusiasmo si dimenticasse l'altro aspetto della questione: ci sono idee diverse per ogni cosa, vite diverse, persone diverse una dall'altra, perché non siamo una massa indistinta e omogenea. Chi è che può decidere che assumere la terapia, che trasforma il corpo ma che farà vivere, mettiamo, 20 anni di più, sia meglio che il rifiutare le cure, vivere senza effetti collaterali, pochi intensi e felici anni e poi morire per una polmonite?
Al tempo del nazismo ci avrebbero sterminati. Al primo test positivo, camera a gas. Non è un'esagerazione ricordarlo, soluzioni semplicistiche e violente sono istintive dell'uomo. Quando il mondo scoprì l'AIDS e lo chiamò la peste del 2000, molti suggerivano di rinchiudere tutti i malati in luoghi sigillati, che non contaminassero i sani. Non sto scherzando! Si è trattato di far capire alla gente comune che il convivere assieme era invece pericoloso per gli ammalati di AIDS, perché soccombevano, perché anche i “sani” sono pieni di batteri, virus e funghi che un sistema immunitario tiene normalmente a bada, ma che sono mortali per chi ha il sistema immunitario distrutto per l'HIV. Oggi del confino sanitario non se ne ricorda più nessuno, per fortuna. Ci volle la Principessa Diana Spencer che senza guanti andò a stringere le mani agli ammalati di AIDS in ospedale, per incrinare quella forma di razzismo generata dalla paura, ed era il 1987. In Italia ci volle il Professor Fernando Aiuti quando baciò sulla bocca, in conferenza stampa, l'attivista sieropositiva Rosaria Iardino, ed era il 1991. Questo, che oggi pare antiquariato emozionale, all'epoca dei fatti era sconvolgente.
È una questione di principio, anche in generale, chi può decidere quale limite si può superare, per evitare l'infezione, andando contro la sua volontà? Se è lecito obbligare l'assunzione di una pillola, è lecito anche circoncidere tutti obbligatoriamente? Una dubbia ricerca dice che, essendo il prepuzio una mucosa, l'asportazione lascia meno possibilità al virus di entrare, in quanto diminuisce la quantità di superficie. La circoncisione per molti è un danneggiamento grave, elimina parti di corpo dense di terminazioni nervose, si creano problemi meccanici (i circoncisi sono obbligati ad usare il lubrificante anche masturbandosi), diminuisce il piacere. È giusto proporre la circoncisione di massa? Eppure questo è stato proposto seriamente (per gli africani e altre popolazioni indigenti, non per noi).
Si tratta sempre dello stesso problema etico, quello dell'autodeterminazione, che in Italia già è costantemente sotto attacco in ogni campo per l'intransigenza vaticana. Quando questa maggioranza non avesse più come argine quel principio dell'autodeterminazione dell'individuo, potrebbe, faccio un'ipotesi, rendere le cure obbligatorie anche se ne derivasse un danno al paziente, giustificandolo con il bene della collettività. Ne è indizio ciò che abbiamo visto in questi anni rispetto a droga, contraccezione, divorzio, aborto, testamento biologico, accanimento terapeutico, suicidio assistito. Siamo in una società che ha il terrore della diversità, della malattia, della vecchiaia e della morte. Ci mettiamo denti di porcellana e capelli di plastica, tiriamo la pelle per stirare le rughe e buttiamo giù cocktail di cocaina e Viagra per gonfiare il pene. Compriamo psicofarmaci ma vietiamo la Cannabis. Costringiamo i malati terminali a buttarsi dal quinto piano dell'ospedale. Chi stabilisce che una data scala di valori sia quella giusta per tutti? Chi dice che questa vita per forza, questo contare il numero di anni, sia l'unico modo giusto di vivere? Accettare la naturalità del corpo, delle malattie, può essere per qualcuno più importante che sommare un gran numero di anni. Vivere coerentemente col sentirsi tutt'uno con la natura.
Io mi sentirei più vicino a questa seconda visione della vita, ma ho analizzato i pro e i contro di una terapia per il mio HIV, e ho deciso che i pro erano di gran lunga superiori. Determinante il fatto che con la terapia attiva io sia meno infettivo. Anzi, mi sarebbe bastato questo dato per farmela scegliere, pur in assenza di altri vantaggi. Ho tenuto conto anche che questa scelta mi farà rischiare meno di diventare cieco o demente, che sono evoluzioni dell'infezione abbastanza frequenti in assenza di terapia. Accetto di vivere più anni ma con dei problemi fisici, piuttosto che pochi ed intensi ma col pensiero di essere pericoloso per gli altri. Ma se ad assumere queste pillole io fossi costretto dalla legge, da medici bigotti o da un politici religiosi, forse non potrei sopportare, accettare, tutti gli effetti collaterali che ho, che sono tanti e molto pesanti, perché sentirei il farmaco come una violenza e non come un amico.

Fortunatamente le buone aspettative rispetto a un inizio precoce della terapia, potrebbero essere confermate. Secondo gli ultimi studi parrebbe proprio vero che questo riesca anche a rallentare l'invecchiamento del sistema immunitario, che è dato dall'infiammazione creata dal virus. Gli studi non sono ancora completi, e alcuni dureranno ancora anni, ma i risultati appaiono questi. Si saprà solo in futuro se ci saranno altri imprevedibili possibili effetti, ma per ora sembra che il conservare grazie ai farmaci il sistema immunitario intatto, e non sottoporre il fisico all'infiammazione, potrebbe essere la migliore strategia. Per di più: possiamo pensare che maggior tempo una persona attenderà ad iniziare la terapia, più alto sarà il residuo di infiammazione, perché si è capito che quest'infiammazione tanto dannosa persiste anche dopo la ricostruzione del sistema immunitario ad opera dei farmaci, se questi sono assunti in uno stadio più avanzato dell'infezione.
Avere un sistema immunitario ben conservato e una bassa infiammazione grazie ai farmaci, è più rispondente al mio concetto di “naturale” rispetto a lasciare che il virus danneggi da subito il fisico e lasci indisturbati virus, batteri e funghi.
Ecco perché è importante fare il test con la frequenza che i nostri comportamenti sessuali suggeriscono, così da poter iniziare per tempo la terapia, per ottenere sia il risultato di essere molto meno infettivi verso i nostri partner, fissi o occasionali che siano, che quello di una migliore salute fisica. Il tempo ci dirà se gli effetti di una cura precoce sono solo positivi, che si vive più a lungo e meglio.
Fare il test, assumere i farmaci e usare sempre il preservativo, che è la prima barriera al virus.

L'illustrazione è un omaggio, in una pelosa versione bear, ad una famosa e glabra campagna di sensibilizzazione fatta nel 1993 da Oliviero Toscani per Benetton.