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I bei tempi
I bei tempi
di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", maggio 2011)


Mi ricordo dei primi film porno della mia vita. Erano piratati da una cassetta all'altra, da un Betamax ad un Video2000, da un VHS all'altro. Tecnicamente pessimi, sbiaditi, le immagini che saltavano. Tutti girati in California, gli attori si dividevano fra quelli coi baffi e quelli senza. Peli pochi, orsi neppure a parlarne. Anche le cassette originali erano pessime, per cui girava voce che fossero i gestori di porno shop italiani i primi a piratarli.
Erano film muti perché girati con cineprese a 16 mm, poi montati, con gli stessi orgasmi mostrati più volte da angoli diversi, per via che venivano ripresi da almeno due cineprese e messi questi spezzoni consecutivamente nel film. Le pellicole poi venivano riversate su nastro magnetico, e a questo punto si aggiungeva la musica, una via di mezzo fra ambiente e disco, melodia banale, pessimamente eseguita al computer per via del budget limitato. Risultava più disturbante che piacevole, per cui si metteva il volume a zero e questo permetteva anche di commentare gli atti, se la visione era fra amici, con battute spiritose. I videoregistratori erano rarissimi, costosi, anche i film porno pochi li avevano, sempre per il prezzo, quindi chi ne possedeva poteva avere il salotto sempre pieno di ospiti.
Queste visioni non solitarie avevano uno scopo principale: avendo il proprietario di casa investito cospicue somme in pornografia, di solito era per sopperire al suo poco sex appeal, quindi offriva lo spettacolo nella speranza di un aumento della libido negli ospiti, per potersi offrire poi come agnello sacrificale alla compagnia allupata. "Vieni a vedere un filmino da me" aveva sostituito il proverbiale "vieni a vedere la mia collezione di farfalle".
Le sceneggiature di questi filmati erano abbastanza banali. Un esempio: mentre un fattorino fa una consegna trova il destinatario intento a far sesso con un uomo, quindi si unisce ai due, alla fine va via. Basta, chiuso. Per di più, la poca recitazione iniziale andava anche persa, perché tutti premevano l'avanti veloce e saltavano i preamboli per arrivare al fattaccio. Alcuni film erano anche senza neppure una trama, erano come una antologia di scopate di coppie diverse. Ogni coppia però seguiva quasi sempre lo stesso rituale e le stesse pratiche.
Noi, finocchi del dopo rivoluzione sessuale, eravamo privi di modelli. I rapporti sessuali dovevano essere paritari. E poi si parlava di preliminari, perché partire subito con la penetrazione era una mancanza di sensibilità. Per cui i filmini porno provenienti dagli USA erano comunque più variegati della nostra fantasia, e noi imparavamo. C'è da dire anche che non esistevano le saune, non c'era internet, e gli annunci sui giornali porno erano solitamente poco veritieri. Era un mondo duro, serviva spirito di sacrificio, poi si batteva soprattutto a notte fonda, quando tutti erano andati a dormire, in luoghi isolati e freddi, o puzzolenti e scomodi. Noi prendevamo gli scarti delle città. Ma in agosto, quando si svuotava la metropoli, non erano più avanzi, era tutto un paradiso, o un inferno, era gioia e sesso sfrenato. Erano anche i tanti mariti lasciati soli in città che, una volta all'anno, facevano il pieno, che bastasse loro fino all'estate successiva.
Tutto fantastico? No, per molti di noi era nascondersi, mentire, vivere una doppia vita: se era difficile dire della propria omosessualità in famiglia, lo era ancor di più dirlo a scuola o sul lavoro, dove era addirittura considerato un atto sconsiderato farlo. A meno che uno non fosse un parrucchiere da donna, nel qual caso l'essere gay diventava una referenza.
Oggi quando una coppia gay viene picchiata per strada, viene il mente la scellerata domanda "Ma vi stavate baciando?" come se questo fatto in sé meritasse violenza. Così, all'epoca, se ti licenziavano, la prima domanda era "Avranno saputo che sei gay?" come se questo fatto meritasse dunque il licenziamento. È ancora così? Temo che questo aspetto, gay e lavoro, sia quello in cui sono avvenuti meno progressi, temo che molti ancora debbano fingere, per paura, sul lavoro. E che tanti siano gli attacchi omofobici che restano nel silenzio.
Certamente, oltre ai parrucchieri da donna, oggi si possono dichiarare, senza cali di popolarità, anche gli attori e gli stilisti. Ma chi altro è certo di non rischiare facendolo? I ballerini? E gli operai? Fini non dice più che un omosessuale non può fare il Maestro elementare, ma è ancora un problema esserlo per certe professioni? Per capire se e quanto è migliorato il mondo del lavoro per il popolo LGBT, per sapere quanto ostracismo, quanta ingiustizia ci sono ancora oggi in Italia, per sapere come agire per ottenere diritti negati, è in corso lo studio "Io sono, io lavoro". Lo scrivo qui perché è importante parteciparvi. Basta andare su www.iosonoiolavoro.it e compilare in modo anonimo il questionario. È organizzato dall'Arcigay, affrettatevi perché scade il 15 maggio. Saperne di più ci aiuterà, indicandoci come lottare contro le ingiustizie, come difendersi dalla cattiveria degli omofobi.

Verrà un giorno in cui chiunque, ovunque, potrà dire di amare un uomo.