Statistiche
di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", dicembre 2009)
Oggi è il 7 novembre 2009, e sto scrivendo il mio pezzo da pubblicare qui su Pride a dicembre. Come ogni anno decido di parlare di prevenzione, perché il primo dicembre è la giornata mondiale contro l'AIDS. L'ennesima giornata che passerà ancora più silenziosamente di quella dell'anno precedente.
E allora parlerò dell'ennesima campagna di sensibilizzazione creata in questi giorni, sperando che non cada nell'indifferenza di quelli a cui è diretta, per l'ennesima volta.
La lancia la Fondazione Nadir, la trovate qui: www.testhiv.it
Nella presentazione snocciola dei dati: "È in aumento il numero delle persone che scoprono di essere sieropositive solo al momento della diagnosi di AIDS, ovvero in uno stadio di malattia molto avanzato: siamo passati dal 21% nel 1996 al 60% nel 2008. Questo dato ci suggerisce che una buona parte di persone infette ignora per molti anni la propria sieropositività. Questo porta a non entrare tempestivamente in trattamento e a non adottare le precauzioni che diminuiscono il rischio di diffusione dell’infezione. Sottoporsi allo screening periodico di malattie a trasmissione sessuale (tra cui l'HIV) è un comportamento intelligente, civico e responsabile. Perché tanta reticenza e paura del test quando una eventuale risposta positiva, ancora in buone condizioni di salute, permette di affrontare il problema più serenamente, e avere maggiori scelte terapeutiche per combattere il virus e mantenere una buona qualità della vita?".
In un recente convegno dell'Anlaids è stato detto: "La Lombardia è la prima regione italiana nel rapporto tra casi e numero di abitanti: sei ogni centomila l'anno contro i quattro dell'Emilia Romagna e i tre dell'Umbria. Quasi la metà di queste persone non si rivolge ai centri specializzati. Ci sono 14-15 mila malati di Aids a Milano invece degli 8-9 mila regolarmente censiti. Ogni anno in Lombardia circa duemila persone contraggono l'infezione da virus Hiv. In tutta Italia i nuovi sieropositivi sono circa 4.000 l'anno. In Lombardia abbiamo più di un terzo delle persone in terapia con farmaci antiretrovirali, su 50 mila circa in Italia, e più di un terzo delle persone che vivono con l'Aids, su 110-130 mila in Italia. Uno dei problemi principali è il cosiddetto sommerso, cioè le persone che non sanno di essere sieropositive e non si rivolgono alle strutture sanitarie. Se in Europa la percentuale è del 25-30%, in Lombardia si stima che si avvicini al 40%".
Eppure in quest'ultimo anno l'unica volta che il tema AIDS è arrivato alla prima pagina è stato quando il papa ha pronunciato per la prima volta la parola preservativo, per dire che non si devono usare.
Proprio ora che le cure sono ad un livello tanto avanzato da non esistere dubbi sull'opportunità o meno di curarsi, sul tema cala il silenzio e l'indifferenza. Come se l'unico interesse all'epoca fosse dato dalle parole "incurabile" e "mortale".
Curarsi, qui da noi che le cure sono gratuite, e usare il preservativo riuscirebbe a far recedere pian piano l'epidemia.
Mi ha scritto un lettore, chiedendo di non pubblicare la sua lettera perché nessuno ancora sa, per dirmi che era appena diventato sieropositivo, e che era uno di quelli che ha sempre fatto prevenzione, senza sgarrare mai, e che era affranto ancora di più proprio per questo. Non ho trovato parole che potessero consolarlo (se ne trovano mai?) e ho provato un dolore molto grande.
Le regole del sesso sicuro che noi tutti ripetiamo non sono sicure al 100%, anche senza errori c'è la possibilità dell'incidente, a volte silente, inavvertito.
Se il piccolo errore o il piccolo incidente accade con una persona sieropositiva non in cura, il rischio aumenta, perché chi non è in cura ha nel corpo quantità notevolmente maggiori di virus e quindi ha notevolmente più possibilità di essere pericoloso per gli altri.
Oppure, con l'errata presunzione di essere sani, le regole si seguono con troppa elasticità, chi invece sa, non rischia per una leggerezza.
Ecco perché la scelta di fare il test ed entrare in cura in caso di positività, non è una scelta personale ma riguarda anche le persone con cui si vuole fare sesso.
Nessuno ci obbliga a smettere di fare sesso. Nessuno ci imprime a fuoco sulla fronte il simbolo della nostra sieropositività.
Sta a noi, sieropositivi consci e inconsci del nostro stato, fare qualcosa per non danneggiare gli altri, quelli a cui siamo simpatici e che dicono sì alle nostre proposte.
Perché, in futuro, a scoprire di essere sieropositivi siano sempre meno persone. Perché il sesso possa continuare ad essere per tutti la cosa bella che è.
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