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Trovato l'enzima che diffonde l'HIV
Trovato l'enzima che diffonde l'HIV

di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", marzo 2010)

Titolo dal Corriere della sera del 1° febbraio 2010, ventiduesima pagina, una colonna.
Sì, ho sempre detto di non guardare i titoli, non è neppure il giornalista che li scrive, è il titolista, e se può aggrava, distorce per rendere appetibile l'articolo, o fraintende di suo. La notizia è uscita ovunque: trovata da una equipe angloamericana la struttura tridimensionale dell'integrasi, uno degli enzimi che concorrono all'infezione da Hiv. Conosciuta da vent'anni, da due esiste un farmaco che agisce su questa (Raltegravil). La scoperta servirà per produrre farmaci più mirati nella stessa classe.
La notizia è un po' vaga e breve e qualcuno l'ha infiorettata con statistiche, o con l'elenco delle classi di farmaci disponibili. Con impeto ottimista hanno ricordato i trent'anni di sopravvivenza, le tante medicine nuove.
Del farmaco che agisce sull'inibitore dell'integrasi nessuno ha scritto che ha il problema di indurre presto resistenze, cioè che dura poco. Sapere la struttura tridimensionale dell'enzima porterà a studiare da capo dei nuovi farmaci più utili in questa classe, ma col tempo.
Del Raltegravil non si dice che nel periodo della sperimentazione ha evidenziato un aumento dei tumori (difetto che ha in comune con altri farmaci per l'hiv).
Le prime volte che abbiamo saputo che con i farmaci aumentava il rischio di tumore, ci veniva quasi da ridere, che cosa vuoi che ti interessi un po' di probabilità in più quando sei lì, con sei mesi, o due anni, di speranza di vita? Poi effettivamente questi farmaci la vita la allungano, e tu hai fumato fregandotene altamente, e allora ti domandi se unire i due rischi non hai osato troppo, e inizi a pentirti.
Comunque è un passo avanti, un farmaco in più per il giorno in cui gli altri non saranno attivi, e forse durerà fino a che altri nuovi e migliori arriveranno, sperando che sia un po' prima del solito.
Quello che mi fa riflettere è che la notizia sia un trafiletto in ventiduesima pagina.
Dove sono i bei titoloni terrificanti dei primi anni? Un bene, perché significa che le cure sono efficaci, un male perché significa che alla gente non interessa più, non è più un problema. Ma nonostante i farmaci le nuove infezioni non accennano a calare.

Tempo fa ci fu un dibattito fra il ministero della salute svizzero e quelli europei, perché la Svizzera aveva semplificato molto le norme del sesso sicuro, non citando la diga dentale, il sesso orale protetto e soprattutto permettendo a chi fosse negativizzato da alcuni mesi, di non usare il preservativo. Il resto d'Europa dava, ed ancora dà, un minuzioso elenco di cosa e come fare nelle varie pratiche.
Gli svizzeri dissero: se le istruzioni sono troppo complicate o troppo fastidiose, molte persone non le seguiranno. Questo sarà peggio che dare indicazioni semplici ma importanti: se saranno seguite da tutti, il numero delle infezioni diminuirà. A livello epidemiologico il discorso è giusto. Ma vallo a dire ai pochi che si infettano nonostante abbiano fatto sesso sicuro (quello più o meno semplificato) che fanno parte di un rischio calcolato.

Con un lettore ho un carteggio da qualche mese. Si è infettato inaspettatamente, pur avendo fatto sesso sicuro. Lui vorrebbe mettere in guardia tutti, fare sesso sicuro non è sicuro. L'ho sempre scritto, e l'ho ricordato anche a lui, che l'incidente è dietro l'angolo. A volte ci si accorge sul momento (dello sperma in un occhio!), a volte lo si ipotizza a distanza di tempo (si sarà rotto il preservativo e non me l'ha detto, o magari l'ha sfilato lui apposta?), a volte rimane un mistero per tutta la vita. Cosa dovremmo scrivere qui? Basta sesso? Baci con la membrana di gomma per essere sicuri al cento per cento? Farebbe diminuire il numero delle nuove infezioni? Non credo, il risultato sarebbe che qualcuno, avendo fatto sesso orale senza preservativo, pensi di aver rischiato già così tanto che, a quel punto… sesso non protetto.

Lo scoprire di essere sieropositivi è un trauma che coglie tutti impreparati, tutti sono quasi certi che gli sia andata bene. Chi non si era protetto maledice la sua leggerezza. Chi si era protetto, mette in dubbio tutte le raccomandazioni sul sesso sicuro, e vorrebbe portare tutti a dubitarne. È un discorso cinico da farsi, ma immaginate che uno si metta in macchina ben riposato, sobrio, la pressione degli pneumatici controllata, ed abbia ugualmente un grave incidente stradale. Se allora volesse convincere tutti che non servono a nulla le raccomandazioni, che tanto vale guidare ubriachi e correre come matti, che almeno è più divertente, cosa gli direste? Che lui è stato sfortunato, ma non per questo si devono incitare gli altri ad un suicidio di massa.
Il sesso sicuro funziona ed è l'unica cosa che tutti possono fare per rallentare questa infezione. Continueranno comunque ad esserci nuove infezioni fra chi fa sesso. Ma ci saranno anche fra i medici che ci curano e fra i familiari che vivono con noi, c'è sempre un rischio. Ma non per questo i genitori ci sbattono fuori di casa o gli infermieri ci chiudono fuori dall'ospedale.

Al lettore avrei voluto dare di più. Avrei voluto anch'io che la sua sfortuna servisse ad altri, perché forse sarebbe più facile per lui, accettarla.
La speranza è che, il giorno che avrà la forza di dirlo a tutti, venga trattato con amore e comprensione e non allontanato come l'appestato dei titoloni dei giornali di tanti anni fa