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Voglia di normalità
Voglia di normalità
di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", luglio 2008)

Da un po' di giorni avevo sulla scrivania un numero del New York Times Magazine (quello del 28 aprile 2008) che mi ha spedito un mio amico dalla grande mela. Parla seriamente, e illustra con ironia, delle giovani coppie gay sposate nel Massachusetts, primo stato USA ad approvare la legge, nel maggio del 2004, per i matrimoni omosessuali.
Con interviste ad alcune giovani coppie il giornalista si chiede da dove venga questa voglia di normalità, di monogamia, di stabilità, elementi molto diversi dallo stereotipo, a volte vero, delle vecchie coppie gay, che descrive come più dedite al sesso libero piuttosto che a organizzare i lavori casalinghi. Si chiede se questo desiderio di matrimonio non sia anche dovuto al desiderio di accettazione, dalla famiglia, dalla società, che per un omosessuale può arrivare anche dovendo dimostrare la propria "serietà" con un lungo matrimonio monogamico e una impeccabile organizzazione casalinga.
Quali che siano le motivazioni, da questo aprile anche gli abitanti gay di New York potranno far riconoscere i loro matrimoni, anche se contratti in un altro stato o all'estero. Hanno anche una grande scelta: oltre Boston o Cape Cod, per restare nel Massachusetts, possono anche recarsi finalmente in California, alla faccia di Schwarzenegger, ma anche alla faccia di Obama e Ilary che come massimo delle concessioni, in campagna elettorale, indicano le unioni civili. Oppure andare in Canada, o attraversare l'oceano e scegliere tra Olanda, Belgio, Spagna e Sudafrica.
Forse potremmo anche noi percorrere questa strada, se oltre che a New York ha avuto successo anche nel profondamente religioso Stato di Israele: chiedere almeno il riconoscimento in Italia dei matrimoni gay contratti all'estero. Alla faccia del Vaticano e dei politici bigotti (non solo di destra). Un modo elegante per lavarsene le mani pur operando un riallineamento fra le legislazioni europee in materia.
O forse no, qui neppure quella strada potrebbe essere percorribile, visto come fu facile per i politici cancellare la parola "omofobia" quando il Parlamento Italiano votò per recepire le indicazioni dell'Unione Europea in tema di discriminazioni.
Pazienza! Ma ne abbiamo ancora? Non per trattare il caso personale, ma io ho la salute malferma, e non so quanto tempo posso aspettare per sposare Franco. Non vivo da single, non voglio morire con lo status di celibe. Noi non vogliamo ricominciare una vita all'estero. In realtà non voglio pesare coi miei centomila euro all'anno di spesa sanitaria (tanto costa alla mutua mantenermi vivo nonostante l'HIV) su di uno stato tanto civile da approvare i matrimoni omosessuali.
Anche se Barcellona o Amsterdam sarebbero una bella scelta, resteranno per noi un sogno, o al massimo diventeranno la meta di un viaggio, quasi un pellegrinaggio, per vedere attraverso il vetro di una finestra quegli interni gay-borghesi, un poco banali, un poco rivoluzionari, tanto normali, che al resto del mondo sono negati.