Aids: la trentennale guerra di Pigi
Come si convive 27 anni con la sieropositività? Come reagisce il corpo ai micidiali “cocktail” di farmaci? Lo racconta Pigi Mazzoli che ha scoperto di essere sieropositivo, quasi per caso, nel 1985.
AIDS: la trentennale guerra di Pigi
a cura di Marinella Zetti
Conosco Pigi Mazzoli da tanti anni, insieme abbiamo fatto parte del FUORI – Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionari Italiano – di Milano, abbiamo fatto battaglie per i diritti civili, raccolto firme…
Poi, per un po’ ci siamo persi di vista, ma trascorso qualche anno ci siamo ritrovati sul fronte di una guerra ancora più difficile: quella contro l’Aids. Pigi era sieropositivo, io una semplice volontaria dell’Asa-Associazione Solidarietà Aids. Lui era in prima linea contro la malattia, io al suo fianco a combattere pregiudizi e intolleranza, e a battermi per la dignità delle persone sieropositive e con AIDS conclamato.
Spesso ci trovavamo nei locali, io arrivavo con il mio banchetto per la prevenzione e l’informazione, con i miei preservativi e i miei depliant, lui si metteva al mio fianco con un sorriso e, insieme, passavamo la serata a fare parlare con le persone. Tra noi non c’era la necessità di accordarci, ci guardavamo negli occhi e mentre entrambi ricordavamo gli amici persi in “battaglia”, questo ci spronava a non gettare la spugna, ad andare avanti, a ripetere e ripetere le stesse parole, gli stessi gesti fino a quando le persone scemavano e il locale era prossimo alla chiusura.
Dopo tanti anni Pigi è ancora in prima linea e io continuo la mia personale battaglia da una parte contro pregiudizi e intolleranza cercando di risvegliare nella gente la cultura della solidarietà e dall’altra a spronare Istituzioni moraliste e bacchettone perché facciano opera di prevenzione iniziando dalle scuole.
In questa lunga intervista Pigi Mazzoli racconta la sua personale “battaglia” contro l’Aids, e non solo.
D. Da quanti anni sei sieropositivo?
R. Suppongo ventisette, la metà dei miei anni.
D.Come hai scoperto la sieropositività? Per caso? Per un controllo preventivo?
R. Quando metà dei tuoi scopamici (si dice ancora così?) muore, puoi pensare di avere anche tu quella “malattia dei gay” che viene dall'America. Io no, perché stavo benissimo, non dimagrivo, pensavo di essere stato fortunato. Poi, per sicurezza, nel 1985 ho fatto il test ed ho scoperto di essere sieropositivo.
D. Come hai reagito? Qual è stato il tuo primo pensiero?
R. Questa risposta è da contestualizzare. Negli anni 80 a una persona sieropositiva si davano al massimo quattro anni di vita, secondo le ricostruzioni io mi ero infettato nel 1983, quindi ero certo di avere poco tempo per sistemare le mie cose.
Per questa ragione, avevo deciso di non dire nulla in famiglia e in università, sperando di morire improvvisamente per una polmonite ed evitare tutti i problemi alle persone vicine a me, che all'epoca non erano in grado di affrontare emotivamente questa malattia.
Così ho lasciato gli studi e ho rotto i ponti con una serie di amici e conoscenti.
Poi pian piano si è capito che la sopravvivenza poteva essere di alcuni anni, e che poteva esserci un periodo - diciamo di incubazione - dopo l'infezione e che forse qualche volta la malattia neppure si sarebbe manifestata. Pur con una maggiore speranza di vita, ho iniziato a vivere alla giornata, scoprendo piacere e soddisfazione in cose diverse, perché certamente il virus ti cambia dentro, prima che fuori. Poi, dopo anni, quando ho iniziato coi farmaci - che all'epoca essendo sperimentali comportavano frequenti prelievi in ospedale, tantissimi barattoli di pillole, orari dei pasti da rispettare - solo a quel punto l'ho detto in famiglia, per correttezza.
Devo però dire che quando ho fatto il primo test, alla mia famiglia ho detto che avevo un'epatite, e quindi dovevano fare molta attenzione per evitare il contagio.
D. Come ha reagito la tua famiglia?
R. Bene. Ho spiegato ai miei parenti che avevo l'AIDS e non l'epatite virale; ho fatto capire loro che era meglio, perché con l'epatite si muore di cirrosi, ed inoltre è più infettiva.
Mia sorella è biologa e, quando serve, mi dà una mano a capire i risultati degli esami; la mia mamma mi ha risposto che io fin da piccolo sono sempre stato male ma poi sono guarito sempre da tutto, con il babbo parlo poco. Gli altri parenti sono diventati ancora più affettuosi.
D. Negli anni di volontariato in Asa (Associazione Solidarietà Aids) mi aveva colpito che molte persone sieropositive ricordavano esattamente quando erano entrate in contatto con il virus. Te lo ricordi anche tu?
R. Purtroppo, o per fortuna, no... Posso confutare ciò che dici?
Certo che puoi confutare….
R. Se uno fa sesso una volta all'anno e si infetta, è facile che sappia esattamente da chi si è infettato. Ma è molto più probabile
che si infetti uno che ogni weekend fa sesso con cinque amanti nuovi, e senza utilizzare il preservativo.
D. Eppure tutti dicono di aver capito chi li ha infettati...
R. Secondo me una parte della persona vuole fortemente credere di saperlo; per sopportare il dramma deve essere convinto che sia stato quel particolare ragazzo che era tanto dolce, o quello di cui si sarebbe potuto innamorare, o ancora quello che, se diceva di no, non l'avrebbe più visto ed era di una bellezza irrinunciabile. Altri forse rispondono falsamente solo perché - non dimenticare - seppur non come negli anni 80, l'AIDS è ancora considerata la malattia dei viziosi, di quelli che, pur di fare numero, fanno sesso in quantità senza nemmeno guardare in faccia il partner. Non è vero, in faccia li hanno guardati per bene tutti, con tutti è stato trasporto fisico e a volte anche di più; ma non si sentono di rispondere che deve essere stato uno dei centoventi amanti dell'ultimo anno, per paura di essere bollati come persone che se lo sono meritato.
D. Quali medicine prendevi all’inizio?
R. Ho iniziato nel 1992 come cavia asintomatica, perché ancora non avevo manifestazioni della malattia, con la sperimentazione del primo inibitore. All'ospedale mi dissero che erano a corto di persone come me, perché gli ammalati volevano provare il nuovo farmaco, mentre chi stava bene non desiderava entrare nel protocollo.
Il motivo era semplice: il farmaco precedente, l'AZT, aveva effetti collaterali pesantissimi, a volte mortali e molti temevano che anche il nuovo inibitore potesse generare gli stessi problemi.
Così entrai nel mondo del doppio cieco: avevo tre diversi barattoli di medicine, da cui dovevo prendere tre capsule da ognuno tre volte al giorno. In realtà io non sapevo quello che prendevo: solo in un computer localizzato a Londra c'era scritto se stavo assumendo l'inibitore e l'AZT, l'inibitore e un placebo, l'AZT e un placebo, solo placebo.
D. Come reagiva il tuo fisico?
R. Purtroppo non molto bene, infatti dopo un po’ iniziai a stare malissimo: nausea, stanchezza, febbre che non andava via. Mi sospesero i farmaci. Il medico, che non sapeva ancora cosa avessi assunto, ipotizzò che fosse AZT, per via delle nausee. Inoltre mi disse chiaramente che avendo avuto comunque questo peggioramento, avrei dovuto sistemare le mie cose perché mi restava molto poco da vivere.
D. E tu cosa hai fatto?
R. Io avevo già sistemato le mie cose da tempo, così presi l'aereo per Londra - ricordo che la mia mamma mi accompagnò all'aeroporto in macchina per via della febbre - dove i miei amici, mi avrebbero potuto cremare e disperdere le ceneri, cosa che qui non si poteva fare.
E poi non sapevo quanto sarebbe durata l'agonia, e non volevo traumatizzare i miei genitori con la mia sofferenza.
A Londra, visto l'alto numero di decessi, erano già abituati e anche gli ammalati erano trattati normalmente, e anche a pochi giorni dalla morte venivano accompagnati alle feste. Vedevo questi scheletri seduti sul divano e mi immaginavo a mia volta magro, o meglio, scheletrico.
Nonostante la sieropositività, all'epoca pesavo una novantina di chili e non dimagrivo.
Al mio primo risveglio londinese mi ritrovai sfebbrato, senza nausea, e con una gran voglia di spassarmela. Avevo smesso i farmaci da pochi giorni e non pensavo che il miglioramento sarebbe stato tanto repentino quanto notevole.
Dopo un mese di amore e sesso, visto che stavo bene, sono tornato in Italia, all'ospedale. Avevano aperto il protocollo, e avevano scoperto che non avevo assunto il pericoloso AZT, bensì il nuovo farmaco in dose tripla. E questa dose massiccia aveva causato un’intossicazione acuta al fegato. Pur essendo l'unico, il mio caso sarebbe stato descritto nel bugiardino della medicina. Un giorno il medico, indicando il foglietto, mi disse:“Vedi quello, sei tu”.
D. E poi cosa è successo?
R. Chiarito il fraintendimento, ripresi con i farmaci, e accettai altre sperimentazioni, una dopo l'altra, l'ultima l'ho finita lo scorso dicembre.
Fare una sperimentazione significa trascorrere molto tempo in ospedale, ma è indispensabile perché la ricerca possa avanzare.
Per cui con i cocktail, la cosiddetta HAART, ho iniziato quando era solo un'ipotesi teorica.
D. Ed ora quali e quante medicine prendi? E come reagisce ora il tuo fisico?
R. Ora ho tre farmaci, due assunzioni a dodici ore di distanza e a stomaco pieno. Per la prima volta non ho effetti collaterali, sono negativizzato, ovvero la mia carica virale è talmente bassa che non viene rilevata dalle apparecchiature. Spero che questa situazione resti invariata per anni.
D. Raccontami com’è cambiata la tua vita in questi anni?
R. Non vorrai mica un romanzo?!…
Prima della sieropositività le mie aspettative erano alte e complesse, dopo il cataclisma sono cambiate, forse ridotte ai minimi termini.
Ma facendo un consuntivo devo dire che questo vivere alla giornata non mi ha forse fatto mettere in piedi uno studio di architettura né mi ha fatto avere una casa al mare – come avevo progettato a vent’anni -, ma mi ha regalato un grado di libertà e di chiarezza che forse non avrei mai raggiunto.
D. A cosa hai rinunciato?
R. Non riesco a leggere nessun cambio come una rinuncia. Sono ottimista, riesco a cogliere sempre il lato positivo delle cose.
D. In questi anni com’è cambiata la tua vita affettiva?
R. “Non troverò più un fidanzato!”. Perdere fidanzati e amanti per via della propria sieropositività è la cosa che si teme di più. So che succede, ma per me è stato ininfluente. Forse perché vivo la mia sieropositività serenamente, e così la comunico a tutti. Forse perché ho la fama dell'esperto in sesso sicuro, probabilmente i timorosi si sono allontanati silenziosamente sostituiti però da altri a cui la cosa non importava affatto.
La mia vita affettiva e sessuale non è cambiata dopo il test positivo, se non nei primi giorni. Ero un tipo da relazioni stabili in coppia aperta (tre in vent'anni), con una media di una trentina di nuovi amanti all'anno, credimi questo non è un record, io avevo amici che vantavano numeri ben più alti.
La svolta è arrivata dieci anni fa quando, dopo tre anni di affettuosa amicizia, mi sono fidanzato con Franco, un ragazzo
veneto, che ha vent'anni meno di me. Franco desiderava una coppia chiusa e io ho accettato; non perché la fedeltà avesse improvvisamente acquisito valore ai miei occhi, io sono sempre per l'amore libero, ma era necessario per lui, e mi sembrava un bel regalo da fargli, e visto che lui mi piaceva molto molto molto, questa scelta non è stata un sacrificio.
D. Sicuramente hai avuto momenti di disperazione, come li hai superati?
R. Disperato mai, ne sono incapace. Penso che di irreparabile ci sia solo l'omicidio, per cui guido con molta prudenza in città.
D. In tutti questi anni hai frequentato associazioni, gruppo di auto-aiuto?
R. No, ho sempre avuto la mia famiglia allargata che non mi ha mai permesso di sentirmi solo.
D. Negli anni 80 e anche all’inizio degli anni 90 c’era molta confusione tra Aids conclamato e sieropositività e, soprattutto, c’erano tanta paura e tanti pregiudizi, sei stato oggetto di pregiudizio?
R. Probabilmente sì, ma non me ne sono mai accorto; non riesco ad ascrivere agli altri comportamenti malevoli, forse rimuovo. Mi sono accorto che i miei amici/amanti venivano considerati pericolosi e avevano un calo di pretendenti, ma ne parlavamo ridendone: meglio perderli che trovarli, chi scappa è un cagasotto che magari poi va a scopare senza preservativo con uno che nasconde la sua sieropositività.
D. Come hai reagito di fronte a ingiustizie, discriminazioni, accuse?
R. Mi è successo qualche volta che, dopo aver subito un serrato corteggiamento, alla mia comunicazione di sieropositività, vedevo un irrigidimento, ed allora, per non rischiare di scopare con gente terrorizzata che non aveva avuto il coraggio di dire di no, mi sono dato la regola di non finire a letto il giorno stesso della notizia, così da dare una possibilità di fuga onorevole.
Questa mia regola serviva anche ad evitare quelli che, in preda ad un trasporto emotivo per la notizia, volevano subito venire a letto con me, per dimostrami e dimostrarsi che loro erano diversi e non avevano paura, che loro accettavano il rischio per amore nei miei confronti.
Anche nelle chat avvisavo subito di essere sieropositivo. Una volta, uno dopo due ore di corteggiamento trasecolò quando parlai del mio HIV.
“Ma te l'ho detto subito che sono sieropositivo” dissi io
E lui rispose: “Ma io avevo capito che eri serio e positivo!”
E questa, a casa mia, è rimozione bella e buona.
D. Ci sono stati amici o conoscenti che sapendo della tua sieropositività se ne sono andati?
R. No, nessuno.
D. Negli anni in cui si moriva, anche in Italia, le persone uscivano allo scoperto e dichiaravano la propria sieropositività sia per sconfiggere il pregiudizio sia per aiutare chi lo aveva scoperto da poco, adesso di Aids e sieropositività si parla solo il 1° dicembre, perché a tuo avviso?
R. Di persone che uscivano allo scoperto ce n'erano poche anche allora. Di AIDS se ne parlava perché faceva veramente paura. Ora appare come una cosa gestibile privatamente, come un diabete o il colesterolo alto. Quindi, come diceva Donna Letizia: dei malanni non si parli mai, al “Come sta?” si risponda sempre “Bene grazie”.
D. In Italia non solo non si parla più di Aids ma non si pronuncia nemmeno la parola preservativo, non si fanno campagne di prevenzione contro le malattie sessualmente trasmissibili, è sempre e solo colpa dell’ingerenza della chiesa cattolica romana o ci sono anche altri motivi?
R. La chiesa! La chiesa ha i suoi uomini dappertutto. Per la chiesa è una questione di principio, ammettere il preservativo è ammettere il sesso extraconiugale, il controllo delle nascite, l'omosessualità. E perché la chiesa pensa di essere depositaria della verità unica, e incaricata dal dio unico di far ubbidire tutti al suo volere. Troppe cazzate tutte assieme per potersi aspettare un atteggiamento razionale da questi adoratori del triplo dio.
D. Credi che oggi l’Aids non faccia più paura, forse perché viene considerata solo una “piaga” del terzo mondo?
R. Secondo me, ad una parte di persone le malattie del terzo mondo (AIDS, TBC, malaria...) non fanno né caldo né freddo, troppo lontane… Mi viene in mente la mia maestra di religione alle elementari, che mi faceva credere che io fossi fortunato ad essere nato per caso nella parte cristiana del mondo, perché così conoscevo il vero dio, mentre tutto il resto dell'umanità viveva inutilmente perché ineluttabilmente sarebbe finito all'inferno. Non credo che il razzismo sia sparito, ma solo che stia aumentando il numero di quelli che si vergognano di ammettere di esserlo.
D. Ma i dati ci parlano di contagi in crescita sia per l’Aids sia per le malattie sessualmente trasmissibili, per te la Comunità Lgbtqi dovrebbe ricominciare con campagne per l’uso del preservativo?
R. Le campagne ci sono e sono corrette. Le tre cose sono l'uso continuo del preservativo, il test precoce, una cura efficace. Non credo che maggiori investimenti cambierebbero la situazione, perché non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Per molti il sesso è una fuga dalla realtà, lo fa di nascosto, a volte velocemente, magari rispondendo ad un istinto solitamente represso… Come si può pretendere che razionalizzino e facciano allegramente sesso sicuro?
D. Alcuni ragazzi sieropositivi mi hanno detto che oggi le persone si vergognano a dichiarare la propria sieropositività perché vengono emarginati anche dalla Comunità Lgbtqi, sei d’accordo con questa affermazione?
R. Credo che tu intenda la Comunità dedita al sesso! Cara, io da dieci anni non la frequento.
Ho chiesto ai lettori di Pride della loro esperienza, e mi pare che sia tale e quale a una volta. Forse è ineluttabile, è nella nostra natura emarginare l'ammalato, qualsiasi malattia sia. Così come si emargina l'anziano, il disabile...
D. Se è vero che la Comunità Lgbtqi discrimina le persone sieropositive, cosa dobbiamo fare per cambiare?
R. Quando i preservativi costavano cari, e a Londra li regalavano ai sieropositivi, questi diventavano le persone più ricercate e coccolate della città, perché rifornivano gli amici di condom e lubrificanti gratis.
Scherzo, ma non si cambia la mentalità della gente tanto in fretta, potrà migliorare un po' l'atteggiamento esteriore ma le dinamiche del rimorchio rispondono a spinte ben più forti e profonde di qualsiasi ragionamento, e sono attinenti alla sfera della sessualità la repulsione e la paura per il virus.
D. E per finire, cosa puoi dire a una persona che si è appena scoperta sieropositiva?
R. Assumi le medicine. Fa sempre sesso sicuro. Divertisciti…
M.Z.
(Gennaio 2012)
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